
PFAS: un problema globale con radici profonde nell’agroalimentare
L’inquinamento da PFAS (sostanze poli-perfluoroalchiliche) rappresenta una delle crisi ambientali e sanitarie più gravi del nostro tempo. Utilizzati per decenni in molteplici settori industriali, questi composti chimici si accumulano negli ecosistemi e nella catena alimentare, mettendo a rischio la biodiversità e la salute umana.
Una recente ricerca pubblicata su MDPI Foods (MDPI, 2025) evidenzia come le fonti principali di contaminazione sono acque reflue, rifiuti, fertilizzanti contenenti PFAS e packaging alimentare, con effetti preoccupanti sull’accumulo di PFAS negli organismi viventi. Gli impianti di trattamento delle acque reflue siano una delle principali vie di diffusione dei PFAS, contribuendo alla loro persistenza nell’ambiente e alla loro presenza nei suoli agricoli. La contaminazione dell’acqua potabile, già documentata in varie regioni d’Europa e negli Stati Uniti, dimostra quanto questi composti siano difficili da eliminare e quanto il loro impatto sia sistemico.
Un’altra ricerca pubblicata su ScienceDirect (SD, 2020) ha confermato la presenza diffusa di PFAS nei prodotti alimentari e nell’ambiente ed effetti preoccupanti sulla salute, evidenziando correlazioni tra l’esposizione ai PFAS e problemi endocrini, alterazioni del sistema immunitario e aumentato rischio di tumori.
A fronte di questa emergenza, 94 associazioni europee, tra cui WWF, ISDE, Legambiente, Friends of the Earth Europe e l’European Environmental Bureau (EEB), hanno firmato una lettera aperta alla Commissione Europea (ENV, 2025) per chiedere un divieto globale sui PFAS. Tra le richieste:
✔ Regolamentazione più severa e trasparenza sulle relazioni tra istituzioni e industria chimica.
✔ Applicazione del principio “chi inquina paga”, per obbligare le aziende responsabili della produzione di PFAS a sostenere i costi di bonifica.
✔ Monitoraggio e risarcimenti per le popolazioni colpite.
✔ Investimenti in alternative ecologiche per ridurre la dipendenza dai PFAS.
Ma il problema non riguarda solo la chimica industriale: il settore agroalimentare ha una responsabilità diretta nella diffusione di queste sostanze.
L’agroalimentare di oggi: produttività prima di tutto, ma a quale costo?
Nel Capitolo 2 di Nutrire il Bene, viene esaminato le profonde contraddizioni del settore agroalimentare, in particolare il paradosso dell’agrochimica: un modello produttivo sempre più dipendente dai pesticidi, dai fertilizzanti di sintesi e dagli imballaggi chimicamente trattati.
• Produttività vs. Biodiversità → L’uso massiccio di agrochimici e plastica nei processi produttivi sta compromettendo gli equilibri naturali e alterando la qualità del cibo.
• Da meraviglie della chimica a preoccupazione alimentare → Un tempo celebrata per la sua capacità di incrementare la resa agricola e conservare i prodotti più a lungo, la chimica industriale si sta rivelando un boomerang: le sostanze sintetiche che proteggono i raccolti o contenute nei packaging, stanno contaminando il nostro cibo e il nostro ambiente.
La diffusione dei PFAS nella filiera alimentare ne è la prova più chiara:
✔ Fertilizzanti e pesticidi contaminano i terreni, con residui che si accumulano nei vegetali e nelle acque.
✔ Gli imballaggi alimentari rilasciano microcontaminanti nei cibi che consumiamo ogni giorno.
✔ I processi di trasformazione e conservazione spesso utilizzano sostanze chimiche che, una volta disperse nell’ambiente, diventano contaminanti permanenti.
Di fronte a questo scenario, la soluzione non può limitarsi alla sola regolamentazione chimica: è necessario ripensare l’intero modello agroalimentare, partendo dai principi di coerenza, sostenibilità e responsabilità.
Verso la soluzione: il sistema TRE-E e la trasformazione dell’agroalimentare
Per superare queste contraddizioni, non basta eliminare i PFAS o ridurre l’uso di pesticidi: serve un cambio di paradigma, un modello che integri scopo, identità, valori e pratiche.
Il Sistema TRE-E, descritto in Nutrire il Bene, offre un approccio innovativo per riportare l’agroalimentare alla sua funzione originaria: nutrire in modo etico, sano e sostenibile, mettendo al centro l’identità e la consapevolezza del ruolo delle persone e delle organizzazioni che le animano.
🔹 Scopo e Identità → Un’impresa agroalimentare non è solo un produttore di cibo, ma un custode della salute pubblica e della biodiversità. Deve operare con una visione di lungo termine, integrando pratiche rigenerative e responsabili.
🔹 Valori e Pratiche → Le scelte produttive devono basarsi su coerenza tra etica e operatività, eliminando progressivamente le sostanze chimiche pericolose e privilegiando soluzioni naturali ed ecologiche.
🔹 Filiera e Territorio → Il cibo non è solo una merce: è cultura, storia e legame con il territorio. Solo un’agricoltura che valorizza la biodiversità e il rispetto per l’ambiente può garantire un futuro sostenibile per le comunità e le imprese del settore.
Conclusioni: Nutrire il Bene significa trasformare il sistema
📌 La crisi dei PFAS è solo uno dei tanti segnali di un sistema agroalimentare che ha smarrito il proprio scopo. Non possiamo più accettare un modello produttivo che antepone il profitto alla salute delle persone e dell’ambiente.
📌 Il Sistema TRE-E rappresenta una risposta concreta: un modello incentrato sulla coerenza tra valori, identità e pratiche, che promuove un’agricoltura etica e sostenibile.
📌 Per invertire la rotta servono azioni condivise tra aziende, istituzioni e consumatori. Non basta vietare i PFAS: dobbiamo ripensare l’intero sistema agroalimentare, integrando consapevolezza, innovazione e rispetto per la natura.
🔎 Quali strategie possiamo adottare per eliminare la chimica superflua dal nostro cibo? Come può l’industria alimentare ripensare il suo rapporto con la sostenibilità?
Condividi la tua opinione nei commenti.
Link di approfondimento:
https://www.mdpi.com/2304-8158/14/6/958
https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0160412020320808